Buenos Aires non finisce mai
di Vito Biolchini ed Elio Turno Arthemalle
tratto dal romanzo “Le irregolari” di Massimo Carlotto
Emblematica è l’immensa tragedia che ha segnato l’Argentina a partire dalla fine degli anni 70: un’intera generazione, 30.000 uomini, donne e bambini, cancellata per volontà e per mano della “giunta” militare...“Buenos Aires non finisce mai”, storia di desaparicion, è la trasposizione teatrale dell’agghiacciante verità contenuta nel libro “Le irregolari” di Massimo Carlotto, realizzata da Vito Biolchini ed Elio Turno Arthemalle.
Proporre oggi, in Italia, una riflessione e una presa di coscienza su uno dei “buchi neri” del ventesimo secolo è un gesto che riguarda da vicino la nostra società.
L’intera società civile deve essere portata a fare i conti con la propria passata “disattenzione” nei confronti di una tragedia che vede in primo piano non soltanto la responsabilità diretta della “giunta” militare, ma anche il “silenzio colpevole della comunità internazionale”, persino la più democratica e garantista; la diretta connivenza e complicità di potentati economici, cui si aggiunsero l’incoraggiamento e “l’assoluzione prenotata sul conto” di alti rappresentanti delle “gerarchie della chiesa cattolica”. Il tutto, beffardamente coperto dal gioioso clamore mediatico dei mondiali di calcio del 1978.
A distanza di trent’anni dagli aberranti avvenimenti, le madri, le nonne, quelle definite "las locas" nell'instancabile tentativo di recuperare identità perdute o meglio “rubate”, sono ancora nella loro piazza: Plaza de Mayo.
“Buenos Aires non finisce mai” è una tragedia contemporanea. Il monologo riporta la storia di una donna, Elsa, che ha avuto la vita spezzata da quando suo marito è “desaparecido”: è la storia della solitudine e della paura, dell’angoscia, dell’afasia che da allora hanno dominato la sua esistenza ed ogni suo tentativo di uscirne.
È la storia del suo viaggio all’interno della dimensione collettiva del dramma di cui è rimasta vittima, “le donne di Plaza de Mayo”, per approdare alla consapevolezza del vuoto vitreo cui è stata comunque condannata: quello della sua stessa esistenza di donna “negata”, di madre “negata”, di moglie e di vedova “negata”.
Il monologo, non vuole celebrare eroi, né sventolare bandiere, non si agitano slogan, ma vuole renderci partecipi di una storia vera attraverso strumenti semplici che solo il teatro ha in sé: ci accompagna, grazie ad un’interpretazione accorata, ad entrare in una realtà “ancora” taciuta e quasi andata in oblio, in un susseguirsi di scene volta per volta intime ed epiche, realistiche e poetiche, sognanti e disperate, ingenue e spietate.
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